Pedala, Farid!


Angela non sa un sacco di cose. Non sa, per esempio, che quello nella foto non è Pier Paolo Pasolini, anche se ci assomiglia parecchio. È Calogero, mio nonno.
Ho trovato quella vecchia foto tra i file di mio padre, che a sua volta deve averla scovata in qualche vecchio album, ritrovato in fondo a una cassapanca o un cassetto. Non ne so molto: so che dovevano essere gli anni sessanta, che la donna sulla sinistra e mia nonna Pina, che il bambino è mio zio Eugenio, che la ragazza vestita da sposa era una vicina di casa, che plausibilmente l’immagine è stata scattata a Pavone Canavese. Poche cose, ma Angela non ne sa nessuna.
Mio nonno ha lasciato la sua terra, la Sicilia, nei primi anni ’50. È arrivato in Piemonte da solo, poverissimo. Moglie e figli erano rimasti a Milena, un paesino sperso nel nulla che c’è a metà strada tra Agrigento e Palermo. Si usava così: l’uomo di casa partiva per primo, all’avventura; si faceva un mazzo tanto per trovare un lavoro ed una sistemazione degna, dopodiché moglie e figli lo raggiungevano, realizzando il ricongiungimento familiare spesso agognato per anni, e la migrazione era completa.
Ho conosciuto Farid per caso. Lui era alla mia porta, io su una pagina del mio prossimo libro: luoghi piuttosto insoliti per un incontro. Farid ha suonato il mio campanello, io sono sceso a vedere chi fosse. Ci ho messo un po’ a capire cosa volesse, perché Farid conosce sì e no dieci parole, in italiano. Non perché sia particolarmente ignorante (anzi, ha una laurea in ingegneria) ma perché è in Italia da poco più di un mese.
Farid arriva da un po’ più lontano di mio nonno: viene da quel polveroso ed arido inferno che è la Siria. Angela di tutto questo non sa assolutamente nulla. Ignora le bombe, non sa della separazione dalla famiglia, non conosce la fuga verso la Libia. Nessuno le ha detto del lavoro duro per racimolare un po’ di denaro, o della duplice scommessa che bisogna fare contro gli scafisti ed il mare. Queste cose le so io, che con Farid ho spezzato il pane ed una sigaretta, perché era l’ultima e volevamo fumare tutti e due. Gli chiedo di sua moglie, di suo figlio: dove sono, come stanno. Non lo sa nemmeno lui: sono tre mesi che ha perso ogni contatto. Trovo una giacca, un paio di scarpe, dei pantaloni, un maglione. Il maglione è uno dei miei preferiti, fatto a mano dalla nonna di Angela. Mi dispiace separarmene, ma è caldo, è bello, e sono sicuro che nonna Ada non si offenderebbe, se lo sapesse. Trovo qualcosa da mangiare, in barattolo, comodo da portare via.
Ci vorrebbe una bicicletta.
Farid ora sta a circa venti chilometri da casa mia, in un paese che fino a poco tempo fa ospitava un centro d’accoglienza. Ospitava, perché da poco è stato chiuso: pare si fosse rotto il riscaldamento. Alcuni ospiti sono stati riassegnati altrove, altri (e tutti quelli che erano in viaggio per raggiungerlo) si sono trovati con il culo per terra. Come Farid, che però ha avuto la fortuna di incontrare un connazionale arrivato in Italia dieci anni fa. Nemmeno lui ha molto da condividere, ma quantomeno ha un posto caldo ed asciutto dove dormire.
Ci vorrebbe una bicicletta, perché se ti puoi muovere soltanto a piedi non è che fai tanta strada. Non puoi cercare un lavoro più lontano di pochi chilometri, e di questi tempi pochi chilometri spesso non sono abbastanza per trovare un lavoro. Non uno da ingegnere, poi: no, uno qualunque, per prendere qualche soldo e una casa, e magari riuscire a realizzare il ricongiungimento familiare, completare la migrazione, riprendere una vita normale.
Ma io non ce l’ho, una bicicletta.
Chiamo Angela, che non sa proprio niente di niente. Le chiedo se ce l’ha, lei, una bicicletta. Anche vecchia magari: basta che vada.
Mi dice di sì, che ce l’ha. Mi chiede come mai mi serve, visto che io a lavorare ci vado in macchina.
Le dico che non è per me. Le dico solo che c’è una persona che ne ha bisogno, qualcuno per cui quel dono, che a lei costa poco, potrebbe fare una grande differenza. Non voglio dirle altro, perché non è importante.
Angela mi dice di passare a casa sua a prendermela quando voglio, che la regala volentieri.
Io non lo so se qualcuno abbia mai regalato una bicicletta a Calogero Spitale, mio nonno. Non lo so, ma sarei curioso di saperlo. Mi piace pensare che un giorno, appena arrivato al nord con il suo accento incomprensibile ed il suo odore di fame e cipolle, qualcuno abbia pensato a lui, aiutandolo per come poteva. Era un uomo duro, mio nonno, forte e dritto come i cipressi alla cui ombra le sue ossa stanno un po’ alla volta diventando polvere. Angela lo ha visto una volta sola, Calogero, prima che morisse.
Farid invece non lo ha visto mai. Non lo ha voluto vedere perché non era importante sapere che faccia avesse per regalargli una bicicletta, per fargli un piccolo favore.
Sono ormai quattro anni che io ed Angela raccontiamo il dono, in particolar modo quello di midollo osseo. Lo raccontiamo proprio così: una cosa facile, che costa poco a chi lo fa e cambia la vita a chi lo riceve. Una cosa anonima, perché non ti serve sapere se uno è bello, brutto, omosessuale, eterosessuale, bianco, nero, musulmano, cristiano oppure agnostico, per salvargli la vita. Ti serve solo sapere che c’è qualcuno che ha bisogno di te, e che tu puoi fare la differenza.
Angela era ad un passo dal farlo, quel dono. Non c’è riuscita, perché purtroppo con il midollo osseo la compatibilità è qualcosa di raro e improbabile, come trovare un lampone in gennaio.
Ha donato, invece, una bicicletta. Certo, è una faccenda diversa, meno fondamentale di qualcosa che fa la differenza tra vivere e morire. Ma lo ha fatto con lo stesso spirito, sapendo solo il bisogno di Farid, senza domande, senza condizioni, senza giudizio o pregiudizio.
Angela non sa nemmeno le parole che sono scritte sulla tomba di Calogero, mio nonno. Sotto alle date che aprono e chiudono la parentesi della sua esistenza, le lettere in metallo chiaro dicono alla pietra grigia a cui sono inchiodate e a chiunque passi a visitarla: «Qui giace un uomo che il destino volle migrante per sempre. Lontano dal luogo nativo, scelse questo paese come nuova patria. Non soffermarti troppo in questo luogo, ma portalo con te per il mondo».
Al funerale c’era un uomo che suonava il contrabbasso, sotto ai cipressi. Non so chi fosse, non ne ho la più pallida idea.
Non lo sa nemmeno Farid, che pedala, pedala, pedala.