Hike and Fly


Hike and fly, camminare e volare. Qualche anno fa sarebbe suonato strano. Ma oggi, grazie al continuo miglioramento tecnico dell’attrezzatura, non è più solo un modo efficace di prepararsi all’inverno: salire a piedi e poi volare con un parapendio da quattro chili apre un nuovo spazio di libertà e di divertimento per quando non c’è neve.

Appeso a circa quattro chili di nylon, dyneema, kevlar ed altri materiali che ormai sono diventati piuttosto familiari a chiunque passi i weekend in maniera più divertente che non davanti alla tv, sono nel mezzo di un fluido invisibile caratterizzato da comportamenti peculiari che non posso vedere, ma solo intuire dai loro effetti. Da questo punto di vista volare è un po’ come andare a pesca, solo che se sei bravo prendi correnti ascensionali, non pesci gatto. C’è molto meno di un millimetro di tessuto tra il mio fondoschiena e l’aria che mi fruscia intorno, sibilando tra i fasci funicolari che mi tengono appeso a questa piccola vela. Fa un po’ impressione, a pensarci, ma non vorrei trovarmi in nessun altro posto al mondo. Me lo sono guadagnato: casa è lì sotto, riesco a distinguere il campo del mio vicino, il suo orto pieno di verze, addirittura il piccolo pollaio. Ecco, adesso le cose potrebbero iniziare a suonarvi più familiari. Sono partito appena possibile, dopo il lavoro. Proprio dietro casa c’è questo sentiero stretto e ripido che attraversando un fresco bosco di faggi ti porta velocemente in quota, spostandosi verso il versante sud-est del Grappa. Beh, ad essere onesti il sentiero ti porta in quota, se lo fa velocemente… quello sta a te.

Salti fuori dalla lunga rampa, esci dal bosco, tagli per un paio di pascoli verso est e ci sei. Ora le cose potrebbero diventare davvero molto familiari. Ti trovi di fronte ad un lungo pendio piuttosto ripido, solo che è verde, non bianco. Guardi l’orologio, calcoli quanto ci hai messo a salire e se hai migliorato o peggiorato il tuo tempo, ti guardi attorno, ti godi il panorama, ti godi anche la fatica, ti levi la sete. Poi anziché levare le pelli e bloccare gli attacchi, apri la vela. La distendi bene, controlli i cordini, attacchi l’imbrago alla vela, colleghi l’acceleratore, ti assicuri che il paracadute di riserva sia in ordine, metti il casco, ti infili l’imbrago e controlli che sia tutto in ordine e ben chiuso.

Poi parti. È una cosa difficile da scrivere, è come quando stringi la prima curva su un manto di polvere perfetta e intonsa: c’è quella sensazione di gioia primordiale da bambini, quando senti che sei vivo per davvero, e il mondo è bello, e tutte le rotture di scatole, i pensieri e le scadenze da rispettare se ne restano da qualche altra parte, non importa dove. Ed eccomi qui, appeso a questa piccola vela leggera a guardare dall’alto le verze ed il campo del mio vicino di casa, ad immaginare cosa dirà, stavolta, a vedermi atterrare nel suo prato. Mi viene da sorridere a pensarci.

Il parapendio è uno sport strano. Nasce e si sviluppa con un notevole contributo dal mondo dell’alpinismo: del resto, come non restare affascinati da una cosa che unisce all’umanissimo sogno di volare la promessa di un rientro dalla cima sicuro, facile, e magari anche divertente?
Ecco, a dire il vero le cose erano così più sulla carta che non nella realtà. I primi parapendii (anzi, i primi paracadute pilotabili per slope-soaring) erano aggeggi poco efficienti, poco affidabili e pesanti come il demonio. Caricarseli in spalle e salire per duemila metri di dislivello era allo stesso tempo eroico ed un po’ ridicolo.

Negli anni ‘80, quindi, il volo in parapendio prende una certa distanza dall’alpinismo, sviluppandosi in forme che ricordano per analogia lo sci alpino: alla libertà della salita a piedi verso il decollo si sostituisce la comodità di automobili e bus navetta; le vele diventano più grandi, in modo da permettere voli di distanze maggiori. Nasce il cross country, poi il volo acrobatico.

Spesso e volentieri quando si sente parlare di innovazioni nei materiali, nel design o nelle tecniche di assemblaggio viene da pensare che sia più marketing che sostanza. A volte però la sostanza c’è davvero, e non è solo uno specchietto per le allodole. Ecco, questo è il caso dell’hike and fly: nel corso dell’ultimo decennio, anche sotto la spinta di gare di distanza in autonomia estreme come l’X-alps o la dolomiti superfly, tutta l’attrezzatura ha iniziato a diventare più leggera senza sacrificare la sicurezza o l’efficienza. Del resto, per attraversare l’arco alpino da Salisburgo al principato di Monaco senza altri mezzi oltre alle gambe ed al parapendio, beh, non puoi andare in giro con quindici chili di roba in spalla.

Se il gioco è cambiato non è merito solo di vele e selle progressivamente più leggere: molto lo dobbiamo anche all’ibridazione ed alla contaminazione con altre attività. Lo speed hiking, per esempio. Questa specie di incrocio fra il trail e l’escursionismo tradizionale ha portato sul mercato abbigliamento traspirante e leggero, ma comunque più caldo di quello progettato per la corsa in montagna. Roba perfetta se devi salire millecinquecento – duemila metri e poi stare (relativamente) fermo, roba che ti mette in condizione di evitare di inzupparti di sudore e poi congelare.

Quindi eccomi qui, a sorridere come un ebete mentre guardo di sotto, mentre mi godo il rumore del vento e le sensazioni del volo. Con queste nuove vele, “hike and fly” non vuol più dire “cammina e poi in qualche modo plana giù”. Vuol dire volare per davvero, con manovrabilità ed efficienza non uguali, ma quantomeno paragonabili a quelle delle vele da cross country. Anche oggi sono riuscito ad allenarmi un po’ senza rovinarmi le ginocchia in discesa, sono riuscito a fare un po’ di gamba e di fiato in vista della stagione che avanza.

Ma il punto cruciale è un altro: anche oggi sono riuscito a godermi quella rara e preziosa sensazione di libertà, di autonomia e di indipendenza che poche cose ti possono dare. Anche senza neve!

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