La linea di Heini


In Sudtirolo negli anni ‘70 c’è un clima strano.  Mentre finalmente terminano la tensione ed i morti delle bombe indipendentiste e della repressione armata italiana, il mondo dell’alpinismo è in fermento. È una fase di grande transizione: c’è il sesto grado da rompere, c’è la scalata in artificiale da un lato, mentre dall’altro cresce la chiamata ad un’etica più pulita e minimalista, alla riduzione dell’uso della tecnologia in arrampicata per non “uccidere l’impossibile”.  C’è nell’aria questa voglia, questa fame di nuovo che spinge le persone a sperimentare, ad innovare, ad immaginare cose nuove. Non è più il tempo delle conquiste: come decidi di fare una cosa, l’etica che segui, è più importante di cosa fai, del risultato che ottieni.

A Schenna, antica sede feudale del Conti del Tirolo, c’è un ometto minuto che fa lo spazzacamino.  Lo conoscono tutti, in paese: ogni casa ha almeno un camino, quindi Heinrich, anzi, Heini, periodicamente le visita tutte. È una persona dolce, silenziosa, riservata;  ascolta sempre e parla poco, soprattutto di sé. Eppure tutti sanno qualcosa di lui: che gli piace suonare la chitarra e l’armonica, per esempio: lo si sente spesso, in estate,  quando strimpella in giardino.  Si sa che gli piace andare in montagna. Non arriva al metro e sessanta, ma scala con Reinhold Messner da quando ha vent’anni: era il ‘67 quando lui, Messner, Mayerl e Reali hanno aperto assieme la via degli amici, sulla nord-ovest del Civetta.

Si sa che da poco gli piace anche sciare. Scia in un modo tutto suo, Heini: ha imparato da solo, andando in pista forse quattro volte in tutta la vita. Predilige le pareti ripide, quelle dove non va nessuno, quelle che fanno quasi paura. Tipo la nord della Marmolada, da cui scende, ancora insicuro, il 13 giugno del 1970, quando lo sci ripido estremo è ancora poco più che un’idea nella testa di pochi matti.

A Merano nei primi anni ‘90 c’è un bambino che guarda ad est. È  una mattina fredda, poco prima di Natale. Aaron sta per entrare a scuola, ma si attarda  ancora per qualche momento,  segue con gli occhi una linea, una storia. Gliel’hanno raccontata i suoi: la storia di uno spazzacamino, amico e compagno di cordata di uno zio che non c’è più, che sciava come nessuno, come se lo inseguissero i Krampus, uno che pennellava le sue curve sulle montagne come i pittori pennellano sulla tela.  Ecco, lì, proprio lì sull’Ivigna c’è una di quelle linee, di quei dipinti. Beh, dovrebbe esserci. Aaron crede alle storie, ma sciare giù da quella parete sembra una mezza follia. Mentre i piedi lo portano nella sua aula, al suo posto, al suo banco, la testa vaga ancora: certo che sarebbe proprio bello saper sciare così, saper scendere da un posto del genere. Quasi nessuno ci ha più provato, dice suo padre, dopo lo spazzacamino.

A Merano negli anni ‘70 lo sanno tutti che quasi nessuno scia come Heini Holzer, e non solo perché si è fatto la nord del Similaun e il canalone della Tosa, la nord del Brenta e la nord del Cristallo. Lui è uno che ha un metodo, un’etica: niente elicotteri, per iniziare.  Sali con le tue gambe, e per salire con le tue gambe (avendone ancora per scendere) devi allenarti, ‘ché altrimenti ti manca il fiato. Ecco perché Heini va sempre a correre in montagna, facendosi un centinaio di chilometri alla settimana. Sci ripido estremo, by fair means. Non è un fatto di ideologia, ma di cultura: la stessa che sta aprendo nuovi orizzonti nell’arrampicata libera. Heini va veloce, anche perché oltre al suo lavoro a casa ha una famiglia che lo aspetta. Per finire, i rapporti con la stampa sono ridotti al minimo: perché lui è uno che le cose le fa per il gusto di farle, mica per raccontare un exploit, per fare il fenomeno.

Il giovane Aaron, vent’anni dopo, sta sciando su a Falzeben. Sono le piste di casa, annidate tra l’Ivigna ed il paese. Tra una discesa e l’altra, quando si ferma ad aspettare gli amici, gli capita di perdersi a guardare la parete sudovest, come quando era piccolo. C’è sempre quella storia nell’aria, quella linea di sci ripido che non va quasi mai in condizione, la linea di Heini. Non c’è abbastanza neve, oggi. A dire il vero, le condizioni per pensare di affrontarla non ci sono quasi mai. Aaron si allena duramente: perché sciare gli piace, certo, ma anche perché coltiva un sogno. Sogna di salire lì in cima, un giorno, ma non per sciare sui facili pendii di nordest, come fanno tutti. Sogna di scendere a sudovest, giù per quei cinquecento metri che sembrano un blocco di granito e poi giù ancora nel canale subito sotto, lungo la linea evanescente di Heini.

Tra il 1976 ed il 1977 Heini realizza 14 prime. Il Sass de Putia da est, la sud del Piz Linard, la nord della Cima di Rosso… È inarrestabile, o così pare, per lo meno. L’allenamento duro e costante di un uomo normale, uno che non ha dalla nascita il fisico da atleta, continua a portare risultati. Quello, ma anche (e soprattutto) la passione, la visione. Heini ha intuito nello sci qualcosa che nessuno aveva immaginato prima: basta un cambio di prospettiva ed anche le Dolomiti, le montagne di casa, quelle su cui è stato fatto tutto, su cui è stata raggiunta ogni cima, diventano un territorio vergine da esplorare. Un posto a cui dare un altro significato, una tela su cui dipingere linee che durano un giorno, belle e preziose per la loro evanescenza, come la bellezza dei fiori freschi.

Nel febbraio 2018 Aaron, Aaron Durogati, è in cima all’Ivigna. Ci sono le condizioni, finalmente: quella linea agognata, desiderata, esplorata con gli occhi e con il corpo è finalmente pronta. Aaron è salito prestissimo, con le sue gambe, come avrebbe fatto Heini, e come Heini è salito solo e soltanto perché questa cosa gli fa battere il cuore, perché per lui significa qualcosa che non è conquista, ma soprattutto bellezza del gesto.  Mentre controlla gli attacchi ed inizia a sentire nel corpo il brivido caldo che precede la discesa, guarda in basso, al paese: le persone non si vedono, ma te le puoi immaginare mentre escono di casa, vanno al bar, al lavoro, a fare la spesa. Anche loro non ti vedono, sei troppo piccolo, troppo in alto. Forse non vedranno nemmeno la linea di Aaron, quando sarà sceso. Non importa, perché lui è uno che le cose le fa per il gusto di farle, mica per raccontare un exploit, per fare il fenomeno.

Una brezza leggera soffia da nord. Il cielo è terso, di un blu che pare quasi nero. Un respiro profondo, consapevole, una spinta, ed Aaron dipinge di nuovo la linea di Heini.

<<Chissà cosa penserebbe lui>> si chiede Aaron, una volta uscito dal canale sotto alla parete. <<Magari sarebbe giù in paese, magari starebbe guardando col binocolo, inseguendo la polvere che si alza ad ogni curva, chiedendosi chi sia a scendere di nuovo da qui…>> Ma Heini non c’è più, così come non c’è più lo zio di Aaron, quello con cui andava a scalare.

Il vento soffia più forte, adesso. Aaron sta spellando lentamente per raggiungere il luogo in cui preparare la vela da parapendio per volarsene a casa sopra l’ultimo tratto di bosco.  La sua linea ha già iniziato a sparire.

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Articolo scritto per Salewa Pure Mountain Blog. © Storyteller-Labs. Tutti i diritti sono riservati.