L’eredità dei Padri


C’è silenzio. È una di quelle giornate infrasettimanali di fine giugno, quelle perfette per stare in Tre Cime, quelle in cui si incontrano solo gracchi e lame di luce, quelle in cui le Dolomiti si concedono per come sono davvero.

Dalla parete nord della Grande arriva un vago sferragliare. Poi un rumore di martello. Pochi colpi, precisi ed efficaci. Due voci confabulano tra di loro, tacciono, riprendono. Ricomincia lo sferragliare, riprendono i colpi di martello.

A conoscere questa parete viene spontaneo guardare alla linea della Comici-Dimai: una via leggendaria, iconica, grandiosa: aperta nel 1933, supera una parete gialla e strapiombante con difficoltà fino al settimo grado, incredibili per l’epoca. Ma non c’è nessuno, né in alto né in basso, e nemmeno sulle varianti Costantini o Aschenbrenner.
A destra, molto a destra, ormai sulla parete ovest della cima Grande, corre un’altra via che ha fatto la storia: è la Dülfer, aperta vent’anni prima, alla fine della Belle Époque. Ma nemmeno lì si vedono cordate, né nel diedro né nel camino.

In queste giornate di fine giugno, senza nessuno in giro, viene da pensare ai fantasmi. Non è difficile immaginarsi un giovane Riccardo Cassin che, braghe alla zuava e capelli pettinati all’indietro, indulge in un’altra nostalgica ripetizione.

Invece no. Niente fantasmi, c’è davvero qualcuno in parete. Ci sono Simon Gietl ed Andrea Oberbacher. Stanno superando un tetto impressionante, proprio sotto allo spigolo dopo al quale la parete gira ad ovest. Stanno realizzando la prima libera di “Das Erbe der Väter”, la via che Simon ha aperto poco tempo prima assieme a Vittorio Messini.

È una via audace e tradizionale: aperta interamente dal basso, usando solo chiodi normali e protezioni veloci, affronta difficoltà decisamente sportive, fino al IX-. A Simon piace così: è per un alpinismo puro, pulito, vicino all’etica dei suoi padri.

Non serve conoscere la storia alpinistica di queste montagne per provare grande ammirazione, così come non serve conoscere Simon: basta saper guardare. Fremono le mani a leggere lo sviluppo di questa via, a vedere come solca quel mare di roccia gialla. A conoscere Simon, invece, l’ammirazione diventa rispetto. Cresciuto poco fuori Luttach, in Valle Aurina, ha sempre lavorato; prima nel maso di famiglia, poi come falegname. Il primo contatto con l’arrampicata, una quindicina anni fa, è stato totalmente casuale: Simon faceva l’autostop da Dobbiaco a Brunico, ed è stato un alpinista ad offrirgli un passaggio. È stato in quelle storie, in quei racconti condivisi durante il viaggio, che Simon ha deciso di voler scoprire cosa volesse dire scalare.

Non ha più smesso. Anzi, in breve ha deciso che l’arrampicata, o meglio, che quello specifico modo di fare alpinismo, era ciò a cui dedicare la sua vita. Parte della sua vita, a dire il vero: il resto è per Sandra, Iano e Iari, sua moglie ed i suoi figli.

È anche per questo che l’ammirazione diventa rispetto: perché Simon è un uomo che conosce la connessione tra scelte e conseguenze, perché sa di non vivere solo per se stesso, perché ogni sua decisione, anche scegliendo di aprire dal basso su quelle difficoltà e su quella roccia, è temperata da un grande senso di responsabilità.

Il sole inizia ad abbassarsi dietro la Cima Ovest. Ormai la cordata non si vede più, hanno raggiunto la grande cengia e poi la cima. Il vento porta giù un urlo di gioia, spingendolo lontano, verso i prati di Misurina. Uno sparuto nugolo di gracchi ostenta indifferenza e prosegue il suo volo, diretto chissà dove.

Das Erbe der Väter, ovvero “l’eredità dei padri” è una via singolare. È decisamente innovativo aprire una via con protezioni tradizionali su quelle difficoltà ed in questi anni. Non è solo una via, è anche un omaggio ed un augurio: a chi ha costruito le fondamenta della storia dell’alpinismo, poco più in là e molti anni prima; per chi, tra qualche anno e sulla stessa montagna, potrà immaginarne (e scriverne) il futuro.

 

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