Stigmata


La prima volta che sali in val Badia te la ricordi. È uno di quei paesaggi che, se li racconti a qualcuno che non c’è mai stato, ti risponde che stai inventando. Se non ci sei mai stato ti pare incredibile che attorno ad un torrente ci siano dei prati così verdi, dei masi così curati, e poi quella striscia di abeti messa lì come a nascondere dove il prato diventa dolomia. Se sei a Pedraces, per dire, guarda a nord, verso Brunico. Avrai le Odle a sinistra, il Sas dla Crusc a destra. Se è l’alba, guarda come la luce filtra da est a carezzare prima le cime del Sas Rigais e della Furchetta, poi tutte le altre punte di questo incredibile gruppo di aghi schierati in fila. Se è il tramonto, quell’ora in cui ti viene voglia di stare in silenzio e strappare ancora qualche minuto al giorno prima di accoccolarti accanto ad un fornel, beh, girati verso il Sas dla Crusc. Guarda come arrossisce, a farsi sfiorare dall’ombra delle Odle.

Sotto al Sas dla Crusc c’è una chiesa isolata. Una chiesetta di montagna, piccola e curata come i tabié, i fienili in quota, che stanno appena più in basso. È vecchia, molto vecchia: pare che la consacrazione risalga al 1484, ad opera del Vescovo ausiliario di Bressanone. Ci sono dei luoghi, in giro per il mondo, in cui si ha la sensazione fisica e viscerale di come il mondo sia grande e vecchio. C’è chi crede sia in qualche modo il tocco di Dio; c’è chi, più laicamente, ritiene sia la chiamata al rispetto ed alla contemplazione che sentiamo di fronte a qualcosa di bello. Ecco, la chiesetta di Santa Croce è uno di quei posti dove per millenni gli uomini hanno sentito il sublime, dandogli i nomi più disparati.

<<Guarda un po’, guarda che linea!>> Nell’ultimo sole di un giorno d’estate la voce rimbalza sul Sas dla Crusc, disperdendosi nella valle sottostante.

<<Sai che hai ragione? Sembra tosta, molto tosta, ma lo sviluppo è decisamente logico>>. Simon Gietl rallenta deliberatamente le manovre della calata per guardare meglio. Andrea Oberbacher, sopra di lui, ancora in sosta, lo vede apparire e scomparire mentre scende a balzi.

<<Cosa dici, è scalabile, Simon?>> chiede Andrea. Da sotto sale un silenzio pensieroso.

<<Non lo so, bisogna vedere. Però c’è una cosa che so di certo: lì non ci sono altre vie. Non c’è mai passato nessuno. Ecco, un’occhiata ce la dovremmo dare, sai>>.

La cordata, chiacchierando, scherzano ed immaginando nuovi progetti, prosegue la lenta discesa fino a terra. Raccolgono le loro cose, se le caricano in spalla, scendono verso la piccola chiesa. Si fermano proprio lì, nello spiazzo antistante. Si girano, guardando di nuovo il Sas dla Crusc e le sue pareti. I loro sguardi sincronizzati percorrono la stessa linea alla stessa velocità. Gli occhi si stringono per coglierne i dettagli e l’immaginazione galoppa per immaginare la qualità di quella roccia ora gialla ora nera.

<<Beh>> dice Simon <<Hai programmi per dopodomani?>>

Andrea sogghigna. Si conoscono bene, si legano assieme da anni; quando vai in montagna con qualcuno, quando condividi per anni emozioni, sogni, paure e spazi ristretti, beh, impari a capire al volo chi ti sta accanto. Una domanda diversa lo avrebbe stupito. <<No, credo proprio di non aver nulla in agenda per dopodomani, sai. Ma sta’ attento, che magari tua moglie magari diventa gelosa>>.
Simon ride di gusto, dando una pacca sulla spalla al compagno e riprendendo il cammino in discesa.

Hai presente com’è quando aspetti qualcosa di importante? Non il weekend, o meglio, qualcosa di più di un weekend qualsiasi. C’è quella sensazione bizzarra di effervescenza e di aspettativa, un po’ come quando da piccolo aspetti di aprire i regali di Natale. Il tempo va un po’ per gli affari propri, perdendosi per strada e rallentando. Ecco, quelli sono due giorni di vigilia, per Simon ed Andrea.

Quando si incontrano di nuovo, di nuovo sotto al Sas dla Crusc, sono entrambi carichi di materiale e di speranze. Una nuova via, proprio al centro di quella parete, beh, sarebbe proprio un regalo. Salgono in silenzio, un passo dopo l’altro, divorando la roccia con gli occhi.
Il sole è appena sorto, quando si legano. Quando si slegano, invece, è sera: hanno passato la giornata appesi ad esplorare quel mare di roccia, in cerca di buchi e fessure in cui piazzare un chiodo, un friend, o per lo meno un nut. Sì, perché se lo chiedessi a Simon, ti direbbe che a volte bisogna tornare indietro per andare avanti; perché “alpinismo” per lui vuol dire l’alpinismo dei padri, un concetto molto più ricco e complicato di “solo protezioni tradizionali”. Le persone sono sempre andate in cerca di posti in cui si sente il sublime; ecco, per Simon quel posto non è un posto solo: più che altro, è una pratica. Andare per montagne lasciando meno segni possibile del proprio passaggio, legandosi con qualcuno che si rispetta, qualcuno che ti capisce al volo, senza nemmeno parlare, tenendo gli occhi sempre aperti per la prossima avventura.

Ci vogliono ancora tre giorni ed un bivacco in parete per completare l’apertura di questa nuova linea. Quelli, più un sacco di intuito, più la tenacia per non mollare quando sembra troppo duro, più la freddezza necessaria ad accettare protezioni precarie e distanti. Simon e Andrea non sono personaggi letterari. Sono persone vere, con qualcuno che li aspetta a casa. Non sono eroi: se lo chiedono più di una volta, se è il caso di andare avanti, ma continuano a rispondersi di sì.

Passa un anno, dopo l’apertura. Altri progetti, l’inverno, qualche viaggio a scoprire altri angoli di mondo. Passa un anno, prima che arrivi il momento per tentare la libera.

Ecco, ci sono un sacco di cose che si possono raccontare. Si può scrivere di paesaggi, o della tensione che spinge uomini e donne a cercare il sublime, o di come una cordata sia più di “due persone ed una corda”. Ce ne sono altre, invece, che si possono solo intuire, e la prima libera di una via è tra queste. Per capirle, per comprendere cosa significano per chi le fa, beh, devi guardare con attenzione. Devi notare, per esempio, il silenzio e la concentrazione quando Simon ed Andrea si legano prima di partire, oppure il modo in cui si supportano e si incitano a vicenda sui passaggi duri, o lo sguardo veloce e calmo lanciato ad una protezione decisamente lontana, o il battito più veloce del cuore quando il piede per un momento scivola, prima di ritrovare la sua salda aderenza. Soprattutto, devi vedere il modo in cui durante tutta la salita questi due uomini sorridono soprattutto con gli occhi.

È una sera di fine luglio quando Simon ed Andrea scendono per l’ultima volta dal Sas dla Crusc. Non scherzano, non si prendono in giro, proprio non parlano. Non è per via della stanchezza. Non è perché la via è lunga, o perché il tiro chiave è di X-. Sanno entrambi che in giro per le Dolomiti non c’è un’altra via come questa: si godono in silenzio il dono di averla potuta vedere, aprire e salire.

Come un anno prima Simon ed Andrea si fermano alla chiesetta, girandosi per ammirare ancora quella parete. Ci sono tre vecchie sculture di cirmolo, nel prato: Cristo ed i due ladroni a rantolare per sempre sulle loro croci, inchiodati lì a suggerire un’altra strada per il sublime. La via che Simon ed Andrea hanno salito, la loro strada per il sublime, è proprio lì, proprio dietro ai crocifissi.

Ecco perché si chiama Stigmata.

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Articolo scritto per Salewa Pure Mountain Blog. © Storyteller-Labs. Tutti i diritti sono riservati.